Supermassive Games è una software house britannica, fondata nel 2008, che è sempre rimasta legata alle console PlayStation. Dopo anni di lavoro su titoli minori, nel 2015 rilascia Until Dawn, titolo horror di tutto rispetto in cui viene introdotto l’effetto farfalla, ossia la possibilità di cambiare il corso degli eventi in base alle scelte fatte durante la partita.
Questa premessa ci porta ad oggi, quasi 3 anni dopo, con l’uscita di The Inpatient, titolo esclusivo PlayStation VR, prequel, appunto, di Until Dawn.
The Inpatient ci porta nel 1952, circa 60 anni prima degli avvenimenti narrati in Until Dawn, nel Sanatorio di Blackwood, proprio l’edificio in rovina che abbiamo esplorato nel gioco del 2015. Qui, nei panni di un paziente del Sanatorio, vivremo in prima persona (letteralmente) gli eventi che hanno portato alla chiusura e distruzione del luogo.
In questa recensione, oltre a raccontarvi l’incipit della trama per non fare spoiler, mi concentrerò su ciò che la VR ci permetterà di fare e di come gli orrori del manicomio giochino anche con la nostra psiche.
La nostra recensione di The Inpatient!
The Inpatient è un’avventura horror con finali differenti in base alle scelte fatte ed offre solo la modalità campagna, dalla longevità non molto esaltante. Durante la mia prima partita ho impiegato all’incirca un paio d’ore per completare il tutto, esplorando e procedendo con calma.
Per quanto riguarda la trama, il titolo VR ci porta nel Sanatorio di Blackwood ancora in funzione. Corre l’anno 1952, il Sanatorio è nel pieno dell’attività e noi vestiamo i panni di un paziente ricoverato al suo interno. Non potendomi dilungare troppo per non incorrere in spiacevoli spoiler, vi dico solamente che il nostro personaggio, personalizzabile nel colore della pelle e nel genere (uomo, donna), soffrirà di amnesia non ricordando nulla del proprio passato.
La scelta del genere del nostro personaggio comporta piccoli cambiamenti a livello di dialoghi e trama. Un dettaglio davvero piacevole che aumenta ancora di più l’immersione nel titolo.
Per chi ha giocato Until Dawn, la trama di The Impatient non sarà una sorpresa in quanto già si conoscono gli eventi che stravolgono il Sanatorio, eventi che è ora possibile giocare in prima persona. Per quanto mi riguarda, avendo già giocato il titolo originale, non ho trovato la trama così sorprendente. Durante la partita vengono portati alla luce alcuni dettagli che sono piacevoli da scoprire, ma nulla che mi abbia davvero colpito.
L’immersione che garantisce la periferica PlayStation VR riesce a mantenere un costante stato di ansia durante tutta la partita. Le ambientazioni sono abbastanza spoglie. Un manicomio, com’è ovvio che sia, non può essere mostrato in modo diverso, deve essere vuoto ed opprimente. Eppure avrei preferito un maggiore dettaglio.
Il gameplay di The Inpatient è piuttosto essenziale. Tutto ciò che ci sarà concesso fare durante la partita sarà: camminare, scegliere le opzioni di dialogo per procedere nell’avventura e utilizzare la mani per interagire con le porte.
Per interagire con il gioco potremo utilizzare i controller Move o il controller base di PS4, io però consiglio l’utilizzo dei Move sia per una gestione dei controlli più semplice che per una questione di immersione nel titolo, che diventa più realistico nel momento in cui dobbiamo muovere le nostre mani per effettuare i movimenti del nostro alter-ego. Con il DualShock, invece, non avremo la possibilità di muoverci realmente e potrebbero esserci delle difficoltà nell’aprire le porte e nell’interagire con l’ambiente.
Una volta superato lo step di scegliere i controlli che più vi aggradano, arriva il piatto forte del gioco. I dialoghi e le scelte. Questa è la vera anima del gioco. Durante l’incedere della partita saremo continuamente interrogati dagli NPC ed in base alle nostre risposte faremo cambiare il corso degli eventi. In questi frangenti, un particolare che ho decisamente apprezzato è la possibilità di poter rispondere ai dialoghi con gli NPC a voce leggendo a voce alta, utilizzando il microfono del VR, una delle due risposte possibili. Questa funzione, disponibile anche per la nostra bellissima lingua, rende i dialoghi immersivi e piacevoli, partecipando attivamente alla discussione e sentendoci, di conseguenza, partecipi degli avvenimenti.
Per quanto riguarda la varietà sono rimasto invece piuttosto deluso. Ho concluso quattro partite prima di decidermi a parlarvi di questo gioco e, a mio parere, i finali sono veramente troppo simili tra loro. Sì, cambiano gli NPC con cui si può finire il gioco e sì, cambia ciò che accade nel finale. Eppure sono veramente deluso, i finali sono pochi e dato che l’unica cosa che ha da offrire questo titolo è la trama, mi aspettavo una varietà maggiore.
Tecnicamente il titolo riesce a farsi piacere. Nonostante tutto, la grafica, associata ad un comparto audio ben realizzato, riesce a trasmettere un certa dose di ansia al giocatore.
I modelli dei personaggi sono ben realizzati anche se, paragonati a quelli del titolo precedente, non molto precisi nelle animazioni.
Per quanto riguarda il motion-sickness mi sono trovato benissimo. Non ho provato alcun tipo di fastidio, riuscendo a giocare dall’inizio alla fine il titolo senza neppure una pausa!
The Inpatient è completamente doppiato in italiano. Unica cosa da migliorare è il tono che usano gli NPC in alcune situazioni. Abbastanza fuori luogo. Più che per le musiche, sono stato piacevolmente colpito dai rumori, crepitii e cigolii che ci accompagnano durante l’avventura.
Infine i caricamenti, su PS4 Pro, sono velocissimi, davvero ben fatto.
[…] The Inpatient – Recensione […]