Sono passati più di 30 anni da quando abbiamo affrontato per la prima volta le avventure di Guybrush in The Secret of Monkey Island, e successivamente nel suo sequel Monkey Island 2: LeChuck’s Revenge. È innegabile quanto il mondo e i personaggi ideati da Ron Gilbert e Dave Grossman siano entrati nel cuore di tutti noi, entrando di diritto tra le avventure Lucasfilm Games più apprezzate, non solo dalle vecchie generazioni ma anche dalle nuove che hanno potuto scoprirle.
Gli altri tre capitoli (The Curse of Monkey Island, Escape from Monkey Island e Tales of Monkey Island), successivamente usciti, hanno visto diverse personalità a lavoro ma, nonostante il successo avuto, ci hanno lasciato orfani della penna del suo creatore. Adesso è giunto il momento, per i papà del pirata più sfigato, di ritornare e di fare i conti con il passato e con la consapevolezza di essere ormai diventati adulti. Issiamo le vele della nostra nave e partiamo per la recensione di Return to Monkey Island, pubblicato da Devolver Digital e in uscita l’8 novembre su PlayStation 5.
Return to Monkey Island, il ritorno della leggenda
La nostra avventura riprenderà esattamente dove avevamo concluso Monkey Island 2, ovvero, nel parco giochi. Dopo una breve introduzione, in cui muoveremo i fili del figlio di Guybrush – espediente per impratichire i giocatori con il sistema di controllo -, quest’ultimo ci narrerà della sua ultima avventura alla ricerca del tesoro di Monkey Island. Come se stessimo affrontando dei flashback del passato, ci ritroveremo a Mêlée Island nei panni di Guybrush Threepwood alla ricerca di un equipaggio. Non mi dilungherò oltre sulla trama per lasciarvi il piacere di scoprire cosa ha ideato questa volta il nostro ambizioso protagonista, che si ritroverà, anche questa volta, con non pochi ostacoli da superare.
Per voi giovani pirati che vi affacciate per la prima volta ad un’avventura targata Monkey Island, non preoccupatevi, hanno pensato anche a voi! Anche se è preferibile che giochiate i precedenti capitoli prima di iniziare Return to Monkey Island, gli autori hanno ideato un ottimo stratagemma per farvi acquisire quante più informazioni possibili. Infatti, nel menù di gioco è presente un “album dei ritagli“, in cui il nostro amato Guybrush Treepwood ci narrerà le vicende dei precedenti cinque capitoli. Vi do un consiglio, al termine del gioco ritornate a sfogliare l’album per una dolcissima sorpresa.
Il ritorno di un grande classico delle avventure grafiche!
Diamo uno sguardo più approfondito alle meccaniche di gioco che, seppur siano fedeli ai predecessori, risultano avere alcune migliorie, ma ahimè, anche qualche sbavatura. Return to Monkey Island è un’avventura punta e clicca classica con grafica bidimensionale, con la possibilità di raccogliere e combinare elementi di gioco per risolvere i più disparati enigmi. Ma questo capitolo ha un’accessibilità decisamente maggiore.
Se un tempo, nei tanto amati anni ’90, potevamo restare per settimane e settimane bloccati con un enigma decisamente troppo ostico, per soddisfare tutti i giocatori (e come era già stato fatto per alcuni dei precedenti capitoli) sono state inserite due difficoltà: normale o difficile. La scelta della difficoltà non incide in alcun modo sulla storia, ma cambia solamente la quantità e la complessità degli enigmi. Ad esempio, se nella modalità normale per accedere ad una determinata area ci occorrerà semplicemente acquisire una chiave, nella modalità difficile servirà prima convincere l’interlocutore a darci la chiave effettuando qualche bizzarro scambio.
Avendo provato entrambe le difficoltà vi consiglio nettamente di scegliere la modalità difficile, in quanto i puzzle non risultano essere così complessi. Inoltre, è presente un sistema di suggerimenti sotto forma di “libro degli indizi”, che se consultato ci da degli indizi e, progressivamente, questi ultimi saranno sempre più precisi fino a darci l’intera soluzione. Per quanto queste soluzioni possano essere una manna dal cielo per molti, personalmente non ho apprezzato la troppa semplicità, del resto Monkey Island era, per me, anche questo.
Un ulteriore cambiamento è avvenuto nelle varie azioni standard disponibili. Negli episodi passati, infatti, interagendo con un oggetto o con una persona ci trovavamo dinnanzi a varie scelte: usa, raccogli, esamina e parla. In questo nuovo capitolo, invece, il sistema riconosce autonomamente le azioni più sensate, trovandoci infatti con solo due scelte, come ad esempio quella di utilizzare l’oggetto oppure di commentarlo. Fatta questa scelta Threepwood ci racconterà qualche aneddoto sull’oggetto scelto. Anche questo ulteriore cambiamento semplifica di molto le azioni da fare in gioco ed i puzzle.
Tutta la struttura richiama fortemente i due Monkey Island. Così come avveniva in The Secret of Monkey Island è presente una mappa del luogo in cui ci troveremo, composta da varie location o punti di interesse che possiamo raggiungere semplicemente cliccandoci, oppure muovendoci liberamente per la mappa (qualora l’accesso fosse possibile). Arrivati ad un certo punto del gioco, avremo accesso anche alla “mappa globale“, come avveniva per Monkey Island 2, che ci permetterà di solcare i mari e viaggiare tra un’isola e un’altra.
Con noi avremo sempre il nostro inventario, che ci permetterà di portare tutti i bizzarri oggetti che ci occorreranno per proseguire; con l’aggiunta di una sorta di taccuino dove Guybrush si appunterà diligentemente tutto ciò che occorre fare, aiutandoci a tener traccia degli obiettivi da svolgere. Un ulteriore ed interessante chicca, ma fine a se stessa se non per il completamento degli obiettivi necessari ad ottenere il platino, è l’aggiunta di “carte domande”, sparse per la mappa e talvolta ben nascoste, inerenti alla lore del gioco e tutto ciò che gli riguarda.
Anche se i viaggi e i movimenti risultano essere sempre molto rapidi, saremo spesso costretti a ripercorrere aree già esplorate, per poter recuperare un oggetto che ci occorre, “volare” velocemente in un punto per completare l’enigma, e oltrepassare l’eventuale ostacolo che ci si para davanti.
Le ambientazioni e i personaggi, che abbiamo già imparato a conoscere anni e anni fa, ritornano subendo il peso del tempo. A crescere non sono stati solo gli autori e noi, ma un po’ tutti, eccetto forse, Guybrush che fatica ancora ad accettare il passare del tempo e resta, agli occhi dei suoi amici, un eterno bambino. Anche se, il mondo di gioco e i personaggi che lo animano sono cresciuti insieme a noi, passeggiare per Brr Muda, Terror Island o Mêlée Island ed interagire con vecchi amici come Wally, Elaine e Otis ci fa assaporare con nostalgia i bei vecchi tempi.
Tra cartoon e arte cubista
Alla colonna sonora hanno lavorato i compositori originali di The Secret of Monkey Island (Michael Land, Peter McConnell e Clint Bajakian), la quale risulta quindi essere coerente e con tracce ricche di musiche caraibiche e piratesche fedeli al franchising. Il doppiaggio invece è esclusivamente inglese, con Dominic Armato che ritorna a donare la sua voce a Guybrush, mentre i sottotitoli e i menù di gioco sono tradotti in italiano.
Return to Monkey Island ha decisamente una scrittura nei dialoghi ben curata, di alta qualità e che trasuda tutto lo stile, l’ironia, freddure e satire che hanno da sempre caratterizzato e distinto il titolo, ricchi di giochi di parole e talvolta con sorprenderti rotture della quarta parete.
Nella sua semplicità Return to Monkey Island risulta essere un gioco molto fluido e ben realizzato. Nelle circa 8 ore di gioco (può durare dalle 7 alle 10 ore, in base alla difficoltà scelta e alla nostra capacità con i puzzle) non ho riscontrato alcun bug, crash o cali di frame rate.
Quello che maggiormente ho apprezzato (e che ha diviso fin da subito la rete e i fan, arrivando addirittura a far disabilitare il profilo social privato di Gilbert) è sicuramente il cambio di stile adottato da Terrible Toybox. La direzione artistica (realizzata da Rex Crowle) ha avuto il coraggio di adottare uno stile totalmente innovativo, riuscendo a ricreare l’atmosfera e i personaggi che abbiamo amato in una veste totalmente nuova, ricca di colori sgargianti, cartoon e con una chiara ed evidente strizzata d’occhio all’arte cubista. Davvero una goduria per gli occhi!