Sulle note di Through the Valley, Naughty Dog annunciava quattro anni fa The Last of Us Parte 2, seguito del canto del cigno di PlayStation 3 che diede nuovo lustro ai first party di Sony. Quel fatidico viaggio attraverso un’America devastata dal Cordyceps ci unii come giocatori, immedesimandoci all’interno di un mondo dove la società, per come la conosciamo, è crollata. The Last of Us fu per molti un capolavoro imprescindibile, capace di emozionare attraverso una storia dove non vi sono buoni e cattivi, od eroi e villain, vi è soltanto l’umanità che cerca di sopravvivere. Tra guerre di fazione e il numero sterminato di infetti che invadono le strade delle grandi metropoli, il viaggio percorso con Joel ed Ellie segnò l’industria videoludica, entrando di diritto nella storia del medium. Abbiamo imparato ad amare quel rapporto padre-figlia instauratosi tra un vecchio burbero contrabbandiere ed una ragazzina, la quale rappresenta l’ultima speranza per l’umanità di sconfiggere una pandemia senza precedenti, attraverso le mille difficoltà incontrate lungo il tragitto. Quell’opera, caratterizzata da una narrazione trascinante, si concluse con una bugia, la quale lasciava intendere due interpretazioni: auto conclusione perfetta o seguito in vista?
Passarono anni dalla pubblicazione di The Last of Us e dalla sua edizione rimasterizzata su PlayStation 4. Poi, all’improvviso, comparve quel fatidico teaser che annunciava il ritorno di Joel ed Ellie, in quello che sarebbe stato il continuo di un canovaccio narrativo e non di un effettivo “secondo capitolo”. Difatti, la storia di The Last of Us non era del tutto completa e la seconda parte di questo racconto non aveva ancora esplorato tutti gli aspetti di un mondo che tenta di rialzarsi. Dopotutto, quella bugia non lasciò in sospeso soltanto il nostro fiato. Eccoci qui dunque, il titolo è finalmente disponibile sul mercato e non sono mancati elogi e critiche politiche rivolte alla nuova opera di Naughty Dog. Noi di PlayStation Zone abbiamo giocato e completato il titolo osservando quelli che potrebbero essere i veri difetti di un titolo ritenuto perfetto. Fatte dunque le dovute premesse, non ci resta che addentrarci nella nostra recensione dedicata a The Last of Us Parte 2.
The Last of Us Parte 2: la vendetta è un piatto che va servito freddo
Se ve lo stavate chiedendo: no, l’ultima opera targata Naughty Dog non è la sagra dell’inclusione sociale. Neppure vuole sbandierare alcuno schieramento. Le critiche mosse in questi giorni a partire dal lancio di The Last of Us Parte 2 riguardano diverse sotto trame, le quali non tentano in alcun modo di intaccare il naturale corso degli eventi. Questo perché lo studio guidato da Neil Druckmann pone su un piatto d’argento una questione molto più cara alla situazione sociale che vive il mondo abitato da Joel ed Ellie: sopravvivere ad ogni costo. Abbiamo imparato, nel primo capitolo, che in un mondo come quello di The Last of Us non esiste il giusto o sbagliato, poiché questi due aspetti morali non garantiscono una sopravvivenza assicurata. Eppure, in una società avvolta nel caos, vi è spazio anche per la vendetta, che delinea quella che sarà la narrazione principale di questo attesissimo seguito.
The Last of Us Parte 2 non manca però nell’intento di umanizzare i personaggi coinvolti, esplorando con cura i vari retroscena che compongono la coralità narrativa, riuscendo a farci empatizzare con chi fino ad un secondo prima chiamavamo “nemico”. Difatti, il fascino di questo seguito sono proprio le sotto trame, le quali permettono al giocatore di staccare la spina da un contesto narrativo opprimente e cupo, laddove la gravità della situazione continuerà, in un modo o nell’altro, a peggiorare. Non mancano i momenti intensi, dove nulla può essere dato per scontato: nessuna vita è così importante da essere salvata, neppure quella di Ellie.
Un volto segnato dagli eventi
Sono passati quattro anni da quella indimenticabile menzogna che chiuse la narrazione della prima parte. In quegli anni, la piccola Ellie è cresciuta ed ha compiuto un’evoluzione che necessita di essere trattata. Aldilà del suo orientamento sessuale, che venne delineato nel DLC “Left Behind”, Ellie ha evoluto la sua caratterizzazione diventando un personaggio più rude, dove un tocco di mascolinità influenza le sue reazioni davanti gli eventi che intercorrono. Ciononostante, il suo lato docile è ancora palpabile, seppur nascosto nello sguardo di una ragazza teenager segnata dal passato. Difatti, durante l’evolversi degli eventi, sarà impossibile non accorgersi della sua ingenuità, scaturita a volte da momenti toccanti, capaci di segnarla nell’animo.
La via della vendetta, però, trasforma quella graziosa ragazzina in una macchina da guerra, arrivando a tal punto da compiere delle vere e proprie stragi. Ciò si riversa sul suo volto: nel flusso degli eventi, abbiamo notato come la sua espressione mutava, rendendo sempre più cupa la sua personalità. La vera mutazione arriva nei momenti più cruciali, dove la sensazione di pericolo risvegliano il suo istinto di sopravvivenza, dando nutrimento a quella belva colma di rabbia che Ellie altro non è. Nonostante un’atmosfera decisamente più dark, non mancano fortunatamente dei momenti di spensieratezza, laddove i dialoghi – intrattenuti perlopiù con Dina – si consumano in una manciata di battute capaci di strappare un sorriso, soprattutto dopo essere scampate dal pericolo. Ellie è cresciuta, maturata e, dopotutto, conserva la sua ingenuità nei suoi sguardi, i quali riescono a comunicare i sentimenti della ragazza in quel dato momento.
4 + 3 anni dopo…
The Last of Us poteva essere un’opera perfettamente auto conclusiva. Lasciare i giocatori con un finale spiazzante e tutti con un immaginario collettivo, un what if che però ha tenuto banco per ben sette anni. Perché realizzare il seguito di un titolo estremamente riuscito e apprezzato all’unanimità non è mai semplice come potrebbe sembrare: la saturazione della narrazione è uno dei problemi principali che caratterizzano i sequel. The Last of Us Parte 2 aveva tutte le carte in regola per trionfare o fallire: aggiungere dell’altro ad una storia così ben raccontata rischia non solo di intaccarne il ricordo, ma anche di rovinare quella che fu per molti un’esperienza intensa. Eppure, questo seguito riesce a migliorare la formula imbastita nella prima parte in ogni su aspetto, da quello narrativo a quello ludico e artistico, confermando quelli che sono i benefici di una generazione ormai giunta al termine, la quale pare che abbia ancora molto da raccontare. Nella narrazione di questa seconda parte troviamo diversi temi trattati, i quali badano ad un classico intramontabile come il politically correct.
Tale inclusione dei temi sociali, però, ha scatenato una nuova faida, generando un malcontento di moltissimi utenti che sicuramente avranno portato a termine la nuova opera di Naughty Dog. In Parte 2, la coralità narrativa viene data proprio da questi temi che non vengono trattati con alcuna leggerezza, facendo molta attenzione a narrare quelli che sono i background dei personaggi. Nel titolo si ha modo di esplorare questi vari aspetti, rispettando nel miglior modo possibile ogni di schieramento sociale. In tempi come questi, dove categorie di rappresentanza hanno sempre una voce in capitolo nello sviluppo dei videogiochi e nella loro distribuzione (dovuto soprattutto ad un’influenza negativa sulla pubblicità del prodotto), un titolo come The Last of Us Parte 2 è più unico che raro. Ciò non è bastato per appianare un malcontento basato sul nulla e, tuttavia, sotto questo aspetto sentiamo davvero il bisogno di fare i complimenti a questi ragazzi. È stato fatto di tutto per poter accontentare ogni tipo di videogiocatore.
Lupi e iene si sbranano a vicenda
Dall’estinzione delle Luci, quattro anni più tardi, troviamo due nuove fazioni nel contesto narrativo di The Last of Us Parte 2. I primi sono i cosiddetti Lupi, un’organizzazione militare ben armata dotata di avamposti, accampamenti e quartier generali, una sorta di versione 2.0 delle vecchie Luci. A seguire troviamo le Iene, meglio note come Serafiti, un gruppo di estremisti religiosi ispirati dagli insegnamenti di una guida spirituale, emulando in parte il comportamento dei Ripugnanti incontrati in Days Gone di Sony Bend Studios. Queste due fazioni hanno un ruolo marginale all’interno della narrazione ma, al contrario di Luci e Banditi nel primo capitolo, vi è proprio una guerra in atto. In un mondo devastato da una pandemia, come se non dovesse bastare, l’essere umano è chiamato ad affrontare i propri simili in una guerra di conquista. Entrambe le fazioni, però, vengono delineate dai dettagli narrativi estrapolati dai documenti collezionabili e dai vari dialoghi intrattenuti, permettendo al giocatore di scoprire molto di più sul mondo utopico di The Last of Us.
Anche nell’aspetto ludico queste due fazioni si contraddistinguono nell’approccio al combattimento, seppur le loro reazioni vengono sistematicamente organizzate dall’intelligenza artificiale del titolo (che vedremo più avanti). Difatti, l’esistenza dei Lupi e delle Iene (intese come fazioni) metterà a dura prova le doti combattive di Ellie, obbligata a comportarsi in maniera diversa a seconda del nemico che ha di fronte. L’approccio tattico che adottano questi due schieramenti sono molto differenti: i soldati del WLF, per esempio, girano ben armati e da soli, accompagnati talvolta da un cane (una delle tante novità che esamineremo più avanti), mentre i Serafiti agiscono in gruppo ed utilizzano un fischio per comunicare tra loro. Questi ultimi sono attrezzati con arco e pistola, ma sono anche più aggressivi rispetto ai loro avversari. In special modo, i Serafiti contano su una forza fisica maggiore garantita dai colossi, degli avversari di corporatura ancor più robusta i quali combattono imbracciando un’arma molto pesante. Affrontare questo genere di nemici comporterà uno scontro corpo a corpo più efferato, laddove il giocatore è chiamato ad utilizzare i propri riflessi pur di non finire trucidato dall’avversario.
Click Click.
Nel primo capitolo abbiamo imparato le varie evoluzioni del Cordyceps sul corpo umano, dai Runner agli “amatissimi” Clicker, fino a raggiungere il Bloater. Stadi del fungo che delineano la pericolosità della pandemia, privando l’umanità della propria libertà. Nel contesto narrativo di The Last of Us Parte 2 troviamo un’umanità che tenta di riconquistare una società ormai andata perduta, ripartendo dagli insediamenti. Eppure, così come si è evoluto l’uomo durante la pandemia adattandosi per sopravvivere, anche gli infetti hanno compiuto una propria evoluzione. Dal primo stadio che trasforma l’essere umano in un Runner, ritroviamo i Clicker (con una variante corazzata) e i Bloater più feroci di prima, insieme a due nuovi stadi dell’infezione. Primi tra tutti gli Stalker, una categoria d’infetti che farà penare Ellie nelle sezioni più buie del gioco. Essi non attaccheranno direttamente il giocatore, ma lo osserveranno da lontano, per poi colpire all’improvviso. Essi si collocano tra il Runner e il Clicker nell’evoluzione, dove si ha un’accentuazione del fungo sulla testa.
Abbiamo come seconda portata gli Shambler, uno stadio avanzato dell’infezione che gonfia il corpo della vittima. Il Cordyceps trasforma quest’ultima in un’enorme sacca ambulante ustionata dal virus, il cui aspetto terrificante risalta una quantità considerevole di occhi posti nel basso ventre. Questi, in particolar modo, sono una costola dello stadio Bloater, i cui gas sprigionati dalle spore vengono emessi come una bomba al momento della morte, destando un colpo a sorpresa che può rivelarsi fatale. Gli infetti si sono rivelati ancor più aggressivi soprattutto nelle fasi di combattimento corpo a corpo, mentre i Clicker hanno affinato il proprio udito divenendo ancor più temibili.
Qui c’è lo zampino di Mikami
In questa seconda parte, abbiamo notato una maggiore intensità negli scontri con gli esseri umani, merito soprattutto di un’intelligenza artificiale migliorata rispetto alle produzioni passate di Naughty Dog. Infatti, la tensione è palpabile poiché trasudano attraverso i dialoghi le emozioni dei nemici: qualora eliminassimo un loro compagno, urleranno il suo nome entrando in uno stato di allerta e inizieranno a cercare in lungo e largo il giocatore. Nel momento in cui il giocatore viene scoperto, l’intelligenza artificiale tenderà a muovere diversamente i nemici, realizzando dei veri e propri aggiramenti senza farcene accorgere. Durante la nostra esperienza con il titolo, siamo stati colti più volte alle spalle, poiché la nostra attenzione era focalizzata sui nemici che avevamo davanti. La situazione si intrica nel momento in cui i soldati della WLF sono accompagnati dai cani: non soltanto dovremo fare attenzione agli umani, ma anche l’olfatto dei nostri amici a quattro zampe rappresenta un reale pericolo per le fasi stealth. Anche i Serafiti, nonostante il loro equipaggiamento leggermente più rudimentale (essi rifiutano la tecnologia), sono ancor più pericolosi di quanto possiate immaginare. Infatti, essi tendono a braccare il nemico accerchiandolo con le proprie armi, mandano avanti il colosso per trattenerlo in uno scontro corpo a corpo, per poi colpire alle spalle con arco e frecce. Soprattutto con quest’ultimi i fanatici sono particolarmente aggressivi, ferendo Ellie conficcandole delle frecce nel corpo e causandole danni prolungati nel tempo.
Perché dire che in Parte 2 vi è lo zampino di Mikami? Effettivamente, il leggendario autore di Resident Evil, The Evil Within e del futuro Ghostwire: Tokyo non ha lavorato su The Last of Us Parte 2, dunque perché citarlo? Uno degli aspetti negativi della prima parte era l’assenza di una concreta componente horror. Il contesto imbastito da Naughty Dog ci immedesima in un mondo post-apocalittico popolato da infetti di vario genere, ciononostante, questo aspetto dell’avventura di Joel ed Ellie venne trascurato. Nel suo seguito, gli sviluppatori sono riusciti finalmente ad avvalorare le potenzialità horror, ponendo sul level design maggiore enfasi negli incontri con gli infetti. Spesso e volentieri ci ritroveremo in ambienti bui e claustrofobici, dove il sonoro riesce ad elaborare un’atmosfera agghiacciante e tetra, in cui la torcia spiana la strada verso l’uscita. Con questo accorgimento, gli incontri con gli infetti risultano molto più curati, spaventosi ed intrisi di tensione, in cui potrebbe addirittura scapparvi un urlo di spavento.
Squadra che vince non si cambia
Durante l’ultima presentazione di Ghost of Tsushima, sul web si è avviato un dibattito sull’innovazione ed originalità nei videogiochi e di quanto l’industria stia vivendo un periodo di saturazione in ambito ludico. Non a caso, riuscire ad innovare una meccanica di gameplay specifica è una sfida più ardua di quanto possa sembrare, non garantendo peraltro un successo assicurato. Naughty Dog si è guardata bene le spalle, proponendo una versione aggiornata di quella formula ludica che tanto appassionò i giocatori al mondo di The Last of Us. La componente survival è rimasta invariata, così come il crafting delle risorse, riuscendo in questo modo a rendere meno ostica l’apprensione delle meccaniche di gioco. Difatti, non vi sono sostanziali differenze col primo capitolo, tant’è che riprendere la mano col sistema di gioco impartito dagli sviluppatori sarà pressoché immediato, senza dimenticare di fare qualche piccola introduzione al sistema di creazione degli oggetti. Aldilà dei tradizionali oggetti realizzabili, infatti, troviamo la possibilità di craftare anche delle munizioni specifiche per il fucile a pompa, migliorando in parte la potenza di fuoco a nostra disposizione. Ovviamente non mancheranno i consueti potenziamenti legati alle armi e alle abilità del giocatore, i cui rami sono espandibili raccogliendo degli appositi manuali.
Tuttavia, gli sviluppatori hanno anche evoluto la componente stealth del gameplay. Se prima bastava distrarre i nemici con bottiglie e mattoni o sfruttare la vegetazione a proprio vantaggio, in Parte 2 vi è addirittura la possibilità di poter avanzare senza approcciare direttamente il nemico. Questo perché, aldilà di un approccio più efferato che può essere portato avanti mediante l’utilizzo di un silenziatore rudimentale, il titolo offre diverse scappatoie nelle fasi stealth. In primis, la possibilità di poter strisciare nella folta vegetazione riduce le probabilità di essere avvistati dal nemico, così come la scarsa visibilità permette al giocatore di essere letteralmente un fantasma. Anche il level design è un’arma che Ellie potrà utilizzare come arma, infatti gli edifici fatiscenti offrono dei piccoli passaggi con cui aggirare le pattuglie, come dei cunicoli molto stretti o buchi in cui passare strisciando, servendo su un piatto d’argento diverse possibilità con cui evitare il nemico.
A caccia di risorse
Quanto è importante esplorare in The Last of Us Parte 2? L’esplorazione nella nuova opera di Naughty Dog è parte integrante di un gameplay improntato sul survival, dove sarà necessario razziare ogni edificio per accumulare risorse. Ogni momento di pausa tra uno scontro e l’altro è un’ottima occasione per rifornirsi di materiali utili al crafting, necessari per prepararsi agli incombenti pericoli che riserva il mondo di gioco. La prassi legata all’esplorazione è stata infine semplificata, rendendo ancor più intuitiva la raccolta di risorse extra legate alle casseforti. Nonostante tutto, è innegabile che in alcune sezioni vi è una certa dispersività, al netto del fascino di un’ambientazione in cui la natura ha riconquistato i propri spazi espandendosi per le strade di Seattle e dintorni. L’esplorazione ha subito una maggiore verticalizzazione, di cui non possiamo dire lo stesso nei combattimenti (per ovvi motivi, dopotutto non stiamo parlando di Uncharted). Ciò avviene grazie all’ausilio di due strumenti: corde o manichette per l’acqua, generalmente utilizzati per calarsi o salire, e le sezioni di nuoto, da cui però non è possibile ricavarne qualcosa di utile. Durante il corso del gioco troveremo diversi punti raggiungibili attraverso diversi mezzi, primo tra tutti è il classico cassone dell’immondizia, il quale può essere utilizzato per raggiungere punti sopraelevati (come una finestra o una balconata). Vi saranno anche diverse situazioni in cui basterà compiere un bel salto, prendendo ovviamente la rincorsa. Nonostante i piccoli accorgimenti, che vantano di un utilizzo migliorato della modalità ascolto (che attraverso alcune impostazioni rileva anche oggetti e collezionabili), il modus operandi dell’esplorazione non è affatto cambiato dal suo predecessore, riconfermando quella squadra vincente nel gameplay imbastito da Naughty Dog.
La nuova frontiera dell’accessibilità
Risulta quasi impossibile non elogiare un aspetto quasi trascurato nei videogiochi: le impostazioni. Ebbene sì, tante piccole impostazioni con cui andremo a decidere come sarà la nostra esperienza di gioco. Da anni si parla di accessibilità, da cui derivano curva d’apprendimento, difficoltà e impostazioni che sappiano soddisfare, nel bene o nel male, tutte le esigenze più disparate di una community sempre più variegata. Se pensiamo che l’adaptive controller di Xbox abbia fatto miracoli nel rendere accessibili i videogiochi anche a chi è affetto da particolari disabilità, è incredibile come questo ardente desiderio sia stato realizzato anche in un videogioco come The Last of Us Parte 2. Le impostazioni proposte da Naughty Dog sono veramente articolate e vengono incontro a qualsiasi necessità: da comandi e input alla modifica dell’interfaccia, dall’audio e sintesi vocale (quest’ultima necessaria per i giocatori affetti da cecità o problemi legati alla vista) ad una semplificazione generale dei combattimenti, come la mira assistita, o indebolimento dell’intelligenza artificiale.
A nostro avviso, un quantitativo di impostazioni così dettagliate, realizzate appositamente per rendere accessibile il gaming, non le abbiamo trovate da nessuna parte e, a maggior ragione, ci sembra alquanto riduttivo limitare le critiche ad aspetti politici, specie quando si ha un prodotto che non fa distinzioni sociali tra i giocatori. Il lavoro compiuto da Naughty Dog nel rendere accessibile il proprio prodotto a qualsiasi tipo di videogiocatore è un qualcosa che deve essere assolutamente premiato, poiché è una delle cose più uniche che rare viste finora nell’industria videoludica.
Una PlayStation 4 fin troppo silenziosa
Abbiamo giocato The Last of Us Parte 2 con una PlayStation 4 Standard, da cui sinceramente ci aspettavamo la fiera dell’aeronautica militare. Eppure, personalmente, non ricordo di aver mai avuto una console così silenziosa dacché ho memoria. Infatti, nonostante il caldo torrido e i limiti di una console che ha raggiunto la veneranda età dei sette anni, l’ultima opera di Naughty Dog si è rivelata essere un capolavoro tecnico. La nostra esperienza è stata una delle migliori mai vissute in ambito tecnico, dalla console silenziosa ad una prestazione rocciosa priva di particolari sbavature, la quale incentiva un’esperienza di gioco cinematografica al netto di una pellicola posta sull’immagine che potrebbe far storcere il naso. L’esperienza visiva del titolo è gratificante e meravigliosa, a partire dall’esecuzione attoriale dettata da una splendida mocap, la quale si riflette nelle espressioni naturali e realistiche dei personaggi coinvolti nella trama. Le animazioni, in primis, vantano di una qualità che ci ha lasciati esterrefatti, soprattutto quelle espresse dei volti che trasudano umanità da tutti i pori. Quanto all’aspetto grafico, ancora una volta Naughty Dog ha dato il meglio di sé, spremendo l’hardware a dovere per tirare fuori un prodotto graficamente eccelso. Il tutto mettendo in risalto un’elevata quantità di dettagli posti nelle ambientazioni e nei modelli poligonali, dando quella maggiore definizione e tocco di realismo ad un’opera tecnicamente quasi perfetta.
Qui entra in gioco anche un ottimo lighting capace di caratterizzare gli edifici fatiscenti, con fasci di luce che penetrano fino ad alimentare un’atmosfera suggestiva, riuscendo soprattutto a risaltare i luoghi più bui con l’ausilio della torcia. È proprio in quest’ultimi che salta fuori il lato horror della produzione, dove gli sviluppatori hanno affinato il comparto audio per rendere i luoghi privi di luce ancor più agghiaccianti. Che sia il verso di un Clicker o la sofferenza di un runner, sentire i loro lamenti nel bel mezzo dell’oscurità rende il tutto più spaventoso, oltre a garantire una maggiore immersione nel gameplay. Rispetto al suo predecessore, troviamo un level design più libero e strutturato, abbandonando tutto sommato una certa linearità che caratterizzava l’esperienza di gioco nel 2013. Durante la nostra esperienza, infatti, siamo rimasti ammaliati dalla spettacolarità del mondo post-apocalittico realizzato da Naughty Dog. Ogni livello del gioco è stato realizzato in modo tale da soffermarsi ad osservare i residui di una società ormai scomparsa. Cosa dire, invece, della colonna sonora? Come nel primo capitolo, anche qui il compositore Gustavo Santalalla ha realizzato delle musiche affascinanti e calzanti, capaci di trascinare il giocatore nell’emotività degli eventi che intercorrono su schermo, caratterizzando ogni momento importante della narrazione con delle note musicali a dir poco soavi.
Take on Me
Come accade in queste occasioni, il sottoscritto si riserva un piccolo spazio in cui deliberare un pensiero più soggettivo, e se siete qui, vi ringrazio dal profondo del mio cuore. The Last of Us Parte 2 è un’opera di encomiabile valore artistico, laddove si varca quel confine di mezzo d’intrattenimento per elevarsi ad opera d’arte, un po’ come accadde con Red Dead Redemption 2. Si è parlato spesso di questioni politiche, schieramenti sociali e molto altro ancora, i quali hanno infervorato la rete riversando il proprio astio sui social media. Eppure, il titolo di Naughty Dog riesce in maniera incredibile a trattare temi delicati senza incappare in una mera superficialità, nella quale è estremamente facile finire. Serve serietà, cura e delicatezza nel trattare questi temi cardine della società moderna. Neil Druckmann e il suo team hanno trattato con attenzione questi argomenti, senza mancare di rispetto ad alcuna categoria di rappresentanza, eppure l’odio scaturitosi continua ad essere incessante e, a tratti, privo di alcun fondamento. Tutto ciò da come l’impressione che i videogiocatori, allo stato attuale, non siano ancora pronti per affrontare con razionalità alcuni di questi argomenti, vedendoli nei videogiochi come una sorta di profanazione. “I videogiochi non dovrebbero avvicinarsi alla politica”, eppure, qui si parla puramente di visione artistica e libertà di raccontare una storia, dunque perché limitarla in nome di un ideale che, seppur valido, tale deve rimanere e non essere imposto nella libertà di pensiero altrui? Dopotutto si sono combattute guerre in nome della libertà fisica e mentale, perché vanificare gli sforzi dei nostri antenati per simili superficialità?
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