Se avete effettuato il login sui social almeno una volta in queste due settimane, sarete sicuramente a conoscenza di tutta la vicenda legata a Cyberpunk 2077 e a CD Projekt RED. Dal lancio disastroso su console, ai rimborsi, alla rimozione del gioco dal PlayStation Store, fino ai primi due aggiornamenti risolutivi rilasciati dallo studio polacco; oltre ovviamente a tutti i problemi interni che stanno condizionando in questi giorni il team autore della serie di videogiochi di The Witcher. Insomma, Cyberpunk 2077 è sulla bocca di tutti, per motivi che speravamo non avrebbero condizionato la fruibilità di un prodotto tutto sommato incredibile, seppur i compromessi richiesti risultino fin troppo elevati anche per coloro che sono disposti a compiere un atto di sacrificio.
Perché giocare su console l’ultima mastodontica opera di CD Projekt è, innanzitutto, il sacrificio di vivere una prima volta sensazionale, la quale avrebbe potuto segnare la fine della old-gen e l’effettivo inizio della next, che tarderà ad arrivare a causa di una schedule di aggiornamenti compromessa dai problemi che affliggono la produzione. Noi di PlayStation Zone abbiamo potuto giocare, finire ed approfondire Cyberpunk 2077 grazie ad un codice review gentilmente fornitoci da CD Projekt, vivendo l’intera esperienza di gioco sulla “ultra discussa” versione PlayStation 4 base, sfruttando soprattutto l’arrivo delle patch 1.04 e 1.05, in modo tale da poter notare le possibili evoluzioni tecniche sulle console old-gen. Non ci resta dunque che entrare nel vivo di questa nuova recensione.
Cyberpunk 2077, Il sogno americano distopico
Quello di Cyberpunk 2077 è un mondo che ricorda il grande sogno americano vissuto da chi, un tempo dall’Europa, emigrava oltre oceano per rincorrere una vita migliore verso la terra delle promesse, dei sogni. Night City, nel bene e nel male, ricalca proprio questo concetto, la città capace di darti e toglierti tutto, renderti una leggenda o l’ennesima carcassa di carne e circuiti da gettare nelle discariche delle Badlands. La storia creata ad hoc da CD Projekt Red ruota intorno proprio a questo. V, che sia uomo o donna, è il prossimo candidato come leggenda di Night City, succedendo a chi ha scritto la storia di questa metropoli futuristica influenzata per la maggior parte dalla cultura giapponese, che conserva i tipici skyline newyorkesi avvolti dalla condensa delle luci al neon che illuminano le strade della città. Nel nostro piccolo, non importa a quali origini apparterremo: Nomade, ragazzo di strada o corporativo, tre percorsi che si distingueranno nei loro prologhi, ma saranno sempre destinati ad incrociarsi in un unico e ramificato filone narrativo, fatto di scelte che potranno caratterizzare gli eventi principali della storia, fino a finire in un traguardo comune. Questa è la storia di Cyberpunk 2077, la quale viene apparentemente condizionata dalle nostre scelte che, in un modo o nell’altro, saranno addirittura più efficaci di una pistola estratta, dove però, talvolta, quest’ultima rappresenterà l’unico compromesso conveniente. Il titolo obbliga il giocatore a trattare con i propri interlocutori virtuali: un’informazione estorta con le buone o con le cattive, concludere degli affari stando alle regole del gioco o portare quest’ultime dalla propria parte, oppure essere dentro o fuori. Insomma, nonostante si segua un’autostrada narrativa, le uscite che il giocatore può prendere per arrivare la destinazione sono molteplici e offrono tutte un buon margine di rigiocabilità.
Merito soprattutto dell’ampio cast di personaggi principali e non, approfonditi grazie a side story dedicate – decisamente complesse – che ci hanno ricordato il Barone di The Witcher 3 in casi sporadici. CD Projekt Red sembra riconfermare le proprie capacità nello scrivere una storia complessa, affascinante e capace di ammaliare il giocatore con le numerose vie narrative espresse in linee di dialogo. Eppure, personalmente, per buona parte della storia ho provato poca empatia verso le varie identità che arricchiscono il costrutto narrativo di Cyberpunk 2077, riscontrando delle sotto trame addirittura meno convincenti rispetto alle loro ottime partenze, così come alcuni spezzoni di trama risultano meno appetibili di certe missioni secondarie. Questo perché la storia di V rappresenta la stella di un sistema solare, nel quale tutto il resto viene illuminato da essa. Tutto ritrova dunque un collegamento e ruota intorno al percorso che vedrà il nostro protagonista diventare la nuova leggenda di Night City. Ciò che caratterizzerà una maggiore rigiocabilità sono appunto le origini che sceglieremo in fase di creazione dell’avatar. Esse non sono soltanto un pretesto ludico, ma hanno anche un ruolo nei dialoghi. Nella mia run ho giocato nei panni di un corporativo, il quale ha accesso a informazioni su ciò che accade – più o meno – dietro le quinte delle corporazioni, l’Arasaka in primis, e tale caratterizzazione permette a V di potersi confrontare con i poteri forti che dominano la città. Il giocatore ha la possibilità di intrattenere delle relazioni sia eterosessuali che omosessuali, e saranno soprattutto queste due caratteristiche a permetterci di avere dei legami più forti. In parte ci saremmo aspettati di avere anche una scelta più ampia, ma quelle presenti al suo interno sono sufficienti per arricchire ulteriormente la storia.
Le vie sono tante, prendine una e affronta la missione
Ciò che più convince nella main quest e nelle varie missioni secondarie o attività extra di Cyberpunk 2077, sono i vari approcci con cui poter affrontare una missione. Nonostante lo scontro a fuoco rimane la tattica più efficace, oltre ad essere quella più veloce per portare a termine un incarico, lo stealth e l’hacking rimangono valide opzioni, seppur siano aspetti piuttosto trascurati nell’economia ludica del titolo. Soprattutto lo stealth viene penalizzato dall’incredibile facilità con cui è possibile superare nemici ed ostacoli, prestando ovviamente attenzione alle telecamere che rappresentano l’unico grande nemico di questo approccio. L’hacking, invece, diventa addirittura fin troppo superfluo, se non utile in sporadici momenti in cui dovrete distrarre una guardia. Con la relativa progressione però – che vedremo tra poco – è possibile avere accesso ad hack rapidi più efficaci, riducendo al tutto ad un notevole consumo di RAM del nostro cyberware.
Il level design, però, è quello che influisce di più nelle missioni. Non sempre la porta principale è l’unica via d’accesso, poiché ogni missione ha passaggi segreti oppure opzionali che permettono al giocatore di tagliare diversa strada o addirittura di non farsi notare entrando di soppiatto. Spesso e volentieri sarà il gioco stesso ad invitarci a trovare un ingresso secondario, come può essere una porta violabile, un condotto o direttamente il tetto. Anche i dialoghi e la capacità di essere influenti permetteranno di accedere a diversi luoghi in maniera del tutto indisturbata.
Migliorando le proprie doti, infatti, si possono aprire con maggiore facilità diverse porte, sfruttando la forza bruta o aggirando l’ostacolo con la capacità tecnica, soluzioni più dirette per raggiungere l’obiettivo. Si premia la varietà delle missioni principali e secondarie, che da un’azione più serrata si passa ad una fase investigativa, pacata, con intermezzi riservati ai dialoghi tra V e il personaggio secondario di turno. Talvolta si presenteranno anche delle situazioni uniche, capaci di rendere ancor più elettrizzante una missione. Il titolo è ricco di attività secondarie, come intere storie dedicate che potranno anche influenzare il finale del gioco, oppure contenuti riempitivi come contratti e scanner della NCPD, la forza di polizia di Night City. Infatti, sia i contratti che le attività della NCPD possono essere definite come pure fetch quest, i primi in particolare hanno vari obiettivi e quelli opzionali garantiscono sempre delle ricompense extra. Spesso riservano soprattutto delle piccole storie che raccontano che tipo di città sia Night City. Appunto, nonostante la densità delle attività disponibili, sono proprio la varietà di quest’ultime a lasciarci perplessi, riducendo l’endgame e il completismo in un’attività alquanto ridondante, utile ad accumulare denaro per le nostre tasche ed aumentare la nostra reputazione ma poco altro.
V per Vendetta
Prima persona o terza persona? Prima del lancio di Cyberpunk 2077 vi è stato un lungo dibattito sulla scelta di una visuale soggettiva per il gameplay. Eppure, l’ibrido tra FPS e GDR sembra essere una decisione più che azzeccata. Nonostante il gunplay inizialmente mi abbia lasciato non con poche perplessità, lamentando soprattutto del fatto che risultava fin troppo impacciato anche per chi mastica gli sparatutto in prima persona da una vita, dopo aver trovato il giusto approccio ecco saltare fuori qualche nota di apprezzamento per tale componente. Infatti, nella fase di mira tutto appare così lento, a partire dalla reattività, mentre il movimento con l’arma in mano si percepiva una certa rigidità. Dopo aver smesso di mirare ed utilizzando semplicemente il reticolo, impugnando una revolver, il gunplay è improvvisamente cambiato, diventando più veloce, preciso, dissolvendo i dubbi maturati inizialmente, tanto da spingere il sottoscritto di giocare Cyberpunk 2077 in pieno stile DOOM. La gioia dell’headshot, infatti, la si percepisce utilizzando unicamente le pistole, mentre i fucili d’assalto e mitragliette sono addirittura meno efficaci di una revolver. Restano invece validi i fucili di precisione, seppur l’esperienza vissuta utilizzandoli non si presenti nelle migliori condizioni auspicate. A tutto ciò si aggiungono anche le armi corpo a corpo, come mazze, katane e coltelli i cui danni contundenti possono ferire gravemente i nemici umani. L’armeria a disposizione del titolo non è poi così varia, ma punta ad offrire diverse versioni delle stesse armi procedendo per grado di rarità, potenziandole con bonus ed abilità esclusive. Non mancano le armi uniche ed irrinunciabili, come la revolver di Johnny Silverhand oppure il fucile di precisione donato da Panam, soprattutto quest’ultimo che è davvero devastante. Il combattimento melee, però, non è curato quanto il gunplay. Dagli autori di The Witcher, ci saremmo aspettati un sistema di combattimento corpo a corpo maggiormente approfondito o perlomeno più curato, seppur abbiamo apprezzato in sporadici momenti il gameplay scaturito dall’utilizzo della katana.
Vi è un sistema di progressione davvero complesso in Cyberpunk 2077, dove talvolta è difficile scegliere quale aspetto migliorare del nostro V. In una singola run purtroppo non è possibile sbloccare tutte le migliorie che il titolo ha da offrire. Si parte dal ramo abilità che si divide in tre strati: il primo, rappresentato dagli attributi come fisico, riflessi, freddezza, capacità tecnica e intelligenza, che livellati man mano aprono l’accesso a diverse abilità. Ogni attributo viene diviso in più rami, per esempio nei riflessi troviamo un ramo abilità dedicato ai fucili, uno alle pistole ed uno alle armi da mischia. In quello dedicato all’intelligenza, invece, troviamo tutto ciò che concerne la violazione del protocollo e gli hacking rapidi, andando a costituire il secondo strato. Come se non bastasse, arriva il terzo strato, che delinea il livello e le abilità sbloccabili di ciascun ramo. Confusi? In realtà è più semplice di quel che sembra ma, tener conto di tutto ciò, può risultare a tratti asfissiante poiché non si ha mai l’impressione di star sbloccando l’abilità giusta alle nostre esigenze o di sviluppare decentemente il nostro V. Ad appesantire la progressione troviamo tutta la parte dedicata al corpo, agli innesti cibernetici acquistabili presso ogni Bisturi della città. Si tratta di parti che potremo installare sul nostro V, le quali vanno ad interessare alcuni punti fondamentali dell’anatomia umana, come il sistema circolatorio, quello nervoso, ottico, fino a spostarci alla parte più estetica che modifica braccia e gambe. Il grosso del lavoro, però, lo compiono i sistemi operativi, i quali definiscono tutto ciò che concerne il sistema di hacking. Ne troviamo diversi, i quali si differenziano per le loro funzionalità e hacking rapidi a disposizione. Si premia in particolar modo tutto il sistema cyberware, incredibilmente ricco e anch’esso complesso, dato che ogni innesto cibernetico avrà caratteristiche proprie che vanno ad impattare sulle prestazioni del protagonista, dando al giocatore ampia possibilità di scelta su cosa impiantare.
Farsi bello per la serata
Durante la campagna pubblicitaria di Cyberpunk 2077 è stato ribadito più volte come l’editor di creazione del personaggio offrisse una grande quantità di particolari personalizzabili, primi tra tutti gli organi genitali. A tutto ciò, CD Projekt Red ha aggiunto anche una cura minuziosa nella personalizzazione, come dentatura ed unghie. Eppure, ai miei occhi, è parso decisamente sottotono rispetto a quanto abbiamo vissuto già in altre produzioni. Si ha pur sempre la classica personalizzazione del proprio avatar, il quale permette di personalizzarne principalmente l’aspetto fisico, ma gli elementi selezionabili per alcune parti del corpo, come la capigliatura e volto, sono fin troppo pochi. Attenzione, bisogna specificare che tutte le parti sono disponibili per entrambi i sessi. A maggior ragione, riteniamo che la personalizzazione del proprio avatar in Cyberpunk 2077 non rispecchi le premesse fatte dallo stesso team di sviluppo, tralasciando ovviamente tutto ciò che è accaduto al titolo in questi giorni. Tale “mancanza” viene in parte colmata dall’equipaggiamento di V, che ne personalizza il vestiario come un’armatura. Durante la mia avventura tra le strade di Night City ho raccolto una grande quantità di loot, provando vestiari di ogni genere, spingendomi addirittura a vestire da donna il mio mascolino protagonista, fino a provare diverse combinazioni giungendo ad un outfit personalmente soddisfacente.
Ed è qui che la personalizzazione fa la differenza. Nonostante le loro potenzialità, come statistiche bonus passivi, ogni abito si suddivide per rarità, implementando qualche slot per le mod ai gradi epico e leggendario, approfondendo dunque anche la build in fase di costruzione. Troviamo anche un sistema di crafting che si evolve grazie alla progressione del ramo dedito alla Capacità tecnica, il quale permette di fabbricare ogni equipaggiamento, inclusi gli hack rapidi, oppure di smantellare gli oggetti raccolti per ricavarne materiali extra. A tale sistema si affianca la possibilità di potenziare armi ed equipaggiamenti per migliorarne le statistiche, seppur non offra chissà quali particolari possibilità. Infatti, tutto ciò che concerne la creazione è apparso fin troppo fine a sé stesso durante la mia partita, tant’è che per la maggior parte del tempo ho reputato questa meccanica come un elemento superfluo, dato che il solo loot permette di raccogliere degli equipaggiamenti più formidabili rispetto a quelli disponibili nel crafting. Anche vantando di una discreta personalizzazione, grazie all’implementazione di altre mod e di accessori che ne migliorano semplicemente le prestazioni.
Una Las Vegas distopica
Quella di V è la storia di chi vuole diventare una leggenda di Night City e, come tanti altri, si ritroverà presto a fare i conti con la cruda realtà. Nonostante sia il protagonista della storia architettata da CD Projekt Red, la regina indiscussa della narrazione rimane la città stessa. Non a caso, Night City è sempre stata al centro di ogni trailer e il motivo è presto spiegato. La città è semplicemente fantastica e di notte prende letteralmente vita non appena le insegne al neon, i lampioni e gli schermi che dominano la metropoli si accendono per illuminare le strade. Ogni angolo viene illuminato da tantissimi colori e non ci meravigliamo se su PC visivamente il titolo sia semplicemente una limpida gioia. Nonostante le magagne tecniche della versione PlayStation 4, Night City nella modalità foto assume tutt’altro aspetto, ed è forse lì che si riesce ad apprezzare maggiormente l’ambientazione eretta dallo studio polacco. Ciò che meraviglia, inoltre, è la densità e verticalità esplorativa che la città offre. Viverla in prima persona potrebbe non stancare mai. Dopotutto, l’importanza di avere una propria auto – tant’è che vi è un’attività legata all’acquisto di veicoli – nasce dalla necessità di esplorare la metropoli scorrendo nel traffico, tra strade principali e vie secondarie e ammirare dall’abitacolo lo skyline che domina il territorio. Vi è stata posta anche un’ottima varietà di veicoli messi a disposizione, tra moto, supercar, berline e fuori strada, dove ogni metro percorso è un’ottima occasione per dedicarsi ad una sessione di foto. Eppure, nonostante la sua bellezza mozzafiato, Night City rimane quel sogno americano di perdersi all’interno di una gigantesca città futuristica poiché, facendo i conti con la realtà, siamo ben lontani da quella città che tutti – più o meno – ci siamo auspicati di vivere.
Questo perché, al di fuori delle missioni, le interazioni con gli NPC sono fin troppo essenziali, ridotte all’osso, e mancano quelle attività secondarie che permettono anche di immergersi nella movida notturna. Sia chiaro, i bar permettono di farsi qualche sana bevuta e in tutta la città troviamo unicamente solo due occasioni per avere un’allegra compagnia, o qualche chiosco in cui potersi lasciare andare ad un mordi e fuggi. I negozi sparsi un po’ qua e la offrono l’opportunità di sperperare discretamente il proprio denaro ma, nonostante tutto, sentiamo ancora che alla meravigliosa Night City manchi qualcosa, quell’elemento che permetti di farci sentire parte integrante di una comunità così vasta e multiculturale. L’aggravante console, che non riesce ad eguagliare la densità della popolazione che si può ammirare su PC, rende inoltre la metropoli molto spesso una città fantasma, seppur le patch abbiano migliorato qualcosa in tal proposito, ma siamo ancora lontani dal raggiungere quella visione tanto acclamata negli ultimi mesi che hanno preceduto il lancio del titolo.
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Questo sicuramente sarà il paragrafo più dolente ma anche ridondante della review, poiché si è già parlato tantissimo del comparto tecnico di Cyberpunk 2077 su PlayStation 4 Fat. Non per nulla è il motivo principale che ha scaturito le milioni di polemiche delle ultime settimane. Ho giocato la nuova IP di CD Projekt Red proprio sulla versione base della console old-gen di Sony, una piattaforma che negli anni ha fatto girare l’eccellenza videoludica egregiamente, in barba a PlayStation 4 Pro e alle promesse di un vero 4K che non era mai arrivato. Non dimentichiamoci che solo qualche mese fa rimanevamo a bocca aperta per i paesaggi di Ghost of Tsushima, per la meraviglia visiva di The Last of Us Parte 2, sbigottiti soprattutto da come DOOM Eternal riusciva a proporre un mix di grafica e fluidità al top, o come anche titoli ancor più grossi riuscissero a mantenere quei trenta fotogrammi al secondo con una spaventosa solidità. Cyberpunk 2077, nonostante le patch 1.04 e 1.05 abbiano leggermente risollevato la situazione, è ancora lontano dall’essere presentabile o quanto meno accettabile, poiché gli interventi da effettuare sul titolo sono ancora troppi. Neppure è assicurato che gli aggiornamenti previsti per gennaio e febbraio sortiranno qualche effetto positivo. Allo stato attuale, l’ultima opera dagli autori di The Witcher è tempestata da problemi tecnici di varia natura, a cui si aggiungono una quantità spropositata di bug e glitch grafici. Potremmo definire che le condizioni in cui riversa il prodotto possa essere equiparato alle consuete versioni alpha o edizioni Early Access, ed è fin qui palese che il titolo, prima di sbarcare su console, necessitasse di ulteriori lavori di rifinitura i quali avrebbero richiesto un ennesimo rinvio sulla pubblicazione. Solitamente, nelle mie ma soprattutto nelle nostre recensioni, riportiamo tutti i pregi e difetti tecnici di ciascun titolo, valutando il peso che hanno sulla godibilità dell’esperienza, come la migliorano o come la intaccano. Sempre in queste occasioni, piccoli e sporadici cali o texture non proprio eccellenti non rappresentano un gravissimo problema, dato che riteniamo che nessun titolo esca dallo sviluppo perfettamente, ma ci assicuriamo sempre che le condizioni in cui arriva tra le nostre mani rispecchino quella qualità per cui viene venduto sul mercato al prezzo che vediamo sui vari negozi e store digitali.
Cyberpunk 2077 ha problemi tutt’altro che trascurabili, dal frame rate instabile anche nelle situazioni più fondamentali, agli innumerevoli – ed esilaranti in alcuni casi – glitch grafici, oltre ovviamente ai caricamenti dei poligoni incredibilmente lenti. Anche luci ed ombre tardano a caricarsi, mentre l’audio, spesso e volentieri, viene troncato durante i dialoghi a causa dei continui caricamenti, rovinando in parte lo splendido doppiaggio italiano che il titolo pone su un piatto d’argento. L’ottima esperienza ludica viene dunque offuscata da un comparto tecnico insufficiente, trasformando l’avventura in una continua lotta ai troppi compromessi richiesti per essere portata a termine. Al momento, dunque, il titolo su console si comporta piuttosto male, mentre sulla next-gen continua ad avere diversi inciampi, senza escludere ovviamente le miriadi di errori dell’applicazione che ci hanno costretto a riavviare più volte il gioco. Insomma, siamo ancora lontanissimi dal “gira sorprendentemente bene” annunciato dallo stesso team di sviluppo. Tutto ciò che posso consigliare, dall’alto della mia esperienza con il titolo, è quello di rimandare l’acquisto fino a quando il titolo non si ripresenterà in condizioni migliori, poiché nonostante tutta la buona volontà che un giocatore può investire su un prodotto, Cyberpunk 2077 in diverse occasioni vi farà rinunciare a continuare la partita, nonostante sia un videogioco altamente riuscito sotto il profilo ludico e narrativo. Pertanto vi invito a non affrettarvi nel mettere le mani sul gioco per rincorrere il trend dell’ultimo minuto e di attendere il risultato dei futuri aggiornamenti per rivalutarne l’acquisto. Altrimenti, non farete altro che rovinarvi una meravigliosa esperienza a causa della fretta imposta da un settore che deve presentare i dati di vendita entro l’ultimo trimestre finanziario.