Siamo da pochi giorni tornati a vestire i panni degli eroi del Regno della Terra e dei loro nemici in Mortal Kombat 11, l’atteso nuovo capitolo di uno dei picchiaduro più amati di sempre. Ancora una volta troviamo dietro al progetto NetherRealm Studios e Warner Bros Games, gli stessi che nel 2011 hanno riportato in vetta la serie con un sequel/reboot.
Nonostante negli ultimi capitoli il concept base del torneo di combattimento sembri sparito, innescando invece complotti politici per la supremazia dei vari regni, la forte dose di violenza continua a caratterizzare le vicende sia della story-line sia dei più semplici scontri. Questi ultimi scontri sono sempre conclusi dalle Fatality, le finisher che permettono di uccidere nei modi più brutali gli avversari battuti.
Un finale non obbligatorio ma necessario nel caso volessimo umiliare l’amico appena battuto, incoraggiati anche dall’annunciatore del fittizio torneo il quale urla “Finish Him!“.

La violenza come tratto distintivo, visivo e ludico

A causa dell’inedito tratto distintivo, la serie si dovette scontrare con le aziende proprietarie che avrebbero preferito alleggerire il gioco. Se nelle conversioni per Amiga e Sega Mega Drive era possibile reintrodurre la violenza tramite un cheat code, nella versione per Super Nintendo ciò non era consentito. Lo stesso brand portò proprio per questo alla nascita della Entertainment Software Rating Board, sistema di rating nordamericano.
Fortunatamente la serie ha sempre tenuto fede al suo concept base ignorando le polemiche, conquistando di conseguenza il pubblico e sopravvivendo fino ad oggi. Anzi, con il passaggio da generazione a generazione ha rincarato la dose con Animality, Brutality, Stage Fatality e molte altri finisher che abbiamo trattato in un apposito speciale.

Con un precedente tanto significativo, nel tempo molti nuovi progetti hanno abbracciato la filosofia di Mortal Kombat. Siamo qui proprio per questo, annoverare alcuni picchiaduro che hanno saputo lasciare una loro traccia, rigorosamente insanguinata!

Progetto Slaughter & Mutilation, macello e mutilazione

Non possiamo annoverare uno dei progetti più “scorretti” di sempre. Sviluppato dalla Paradox Development per la prima PlayStation, Thrill Kill è un picchiaduro tridimensionale fino a quattro giocatori che sfoggiava, oltre a sangue e violenza, personaggi con background discutibili o con handicap , mosse con allusioni sessuali e riferimenti a personaggi della scena politica statunitense.
Un perfetto quadretto che impedì al gioco di arrivare nelle mani dei giocatori, almeno non in maniera legale. Il gioco sarebbe dovuto essere pubblicato da Virgin Interactive ma, quando quest’ultima nel 1998 fu inglobata da Electronic Arts, la pubblicazione venne annullata. La divulgazione del titolo avvenne grazie alle sole copie pirata.
Dati i quattro anni di sviluppo era comunque venuto fuori un prodotto ricco di contenuti, sia per modalità che per varianti dei vari personaggi. Thrill Kill si dimostrava molto solido sia in merito a concept di ambientazioni e personaggi, sia dal lato del gameplay.

La storia fu basata su otto personaggi selezionabili, anime di persone decedute scese all’Inferno. Ciascuno di essi rappresenta la manifestazione fisica delle perversioni e dei vizi che aveva in vita. Marukka, il dio dei segreti, annoiatosi della solita routine, decise di indire un torneo il cui premio finale concedeva la reincarnazione.
Rinchiusi in macabre e claustrofobiche stanze quadrate, il nostro personaggio doveva colpire i propri avversari non per diminuirne la barra della vita ma per riempire la propria Thrill Kill, ossia una barra la quale ci permetteva di dare il colpo di grazia ad uno degli altri pretendenti alla nuova vita. Inutile dire che le esecuzioni, molto crude, includevano decapitazioni con conseguente bevuta del sangue dell’avversario, oppure smembramento delle braccia per poi picchiare il nemico con le medesime.

Lotta tra uomo e animale

Sempre sulla prima console di Sony arriva, nel 1998, il primo capitolo di una serie di picchiaduro ad incontri che fa meno leva su una violenza esplicita, ma che mostra una certa brutalità negli scontri poiché legati al binomio uomo-animale.
Pubblicato su sistemi arcade l’anno precedente con il titolo di Beastorizer, Bloody Roar vedeva confrontarsi persone dotate di un fattore denominato B, il quale donava loro la capacità di trasformarsi in esseri metà uomo e metà bestia. Tuttavia non tutti possedevano il totale controllo della loro seconda forma.
Si estende dunque l’immaginario oltre la consueta figura del licantropo, per abbracciare pericolose bestie del calibro dei conigli. Lasciato da parte l’umorismo, la serie ha visto far parte del proprio roster predatori più noti, come leoni o tigri, ed animali apparentemente meno consoni, come pipistrelli, cinghiali, talpe, corvi e camaleonti. Questi ultimi possedevano sia modelli che stili di lotta più interessanti.

Il gioco vantava trasformazioni in tempo reale da eseguire quando un’apposita barra veniva caricata oltre una soglia minima, sia scagliando che subendo colpi. In forma ibrida, il giocatore può concatenare gli attacchi dello stile di combattimento del personaggio con le mosse caratteristiche della bestia con cui è ibridato.
Il quarto capitolo su PlayStation 2 segnò anche la scomparsa della serie, poiché il titolo risultava poco tecnico seppur divertente. Il numero di combo effettuabili non seppe tenere testa ai concorrenti.

Quando la lama è letale

Bushido Blade, sviluppato da Light Weight e pubblicato da Square e Sony per la prima PlayStation nel 1997, rappresentò un nuovo modo di interpretare i picchiaduro all’arma bianca. Una volta scelto sia il personaggio che l’arma, il titolo catapultava il giocatore in un’ambientazione 3D liberamente esplorabile in cui era possibile correre, saltare ed arrampicarsi.
Non esisteva alcun limite di tempo o barra della salute, la vittoria si basava infatti sul Motion Shift System e sul Body Damage System. Il primo era il sistema alla base degli attacchi. Era possibile assumere tre differenti impugnature – alta, media e bassa – con cui attaccare o parare. La maggior parte degli attacchi risultava fatale al primo colpo, mentre i colpi minori potevano danneggiare fisicamente l’avversario minandone la mobilità. Ad esempio, un colpo alle braccia costringeva il personaggio ad impugnare l’arma con una sola mano, mentre un colpo alle gambe a rotolare. Tecniche meno onorevoli prevedevano la possibilità di distrarre il nemico tirando lui della sabbia negli occhi.

Il titolo supportava una modalità storia ambientata in tempi odierni con richiami agli elementi tipici del Giappone feudale. Erano anche presenti una modalità orda, nella quale si devono affrontare cento guerrieri in rapida successione, e scontri in prima persona.
Il secondo capitolo, uscito l’anno successivo, introdusse anche personaggi dotati di armi da fuoco, i quali hanno modificato il gameplay notevolmente. Era necessario tenere conto dei colpi nel caricatore e, di conseguenza, scegliere il momento giusto per ricaricare, specialmente nel caso in cui l’avversario fosse molto agile. Il fattore violenza era dunque sia parte visiva, anche se ridotta a schizzi di sangue, che parte integrante della componente ludica.
I titoli appena descritti possono rimandare per il sistema di combattimento ai recenti For Honor ed Absolver. Da non dimenticare infatti come anche il titolo di Ubisoft presenti esecuzioni niente male.

Benvenuti al GUTS!!!

Volutamente irrealistico ed esagerato, ma giustificato dallo stile cartoon, GUTS punta totalmente sul divertimento. Nessun tipo di tecnicismo, bisogna solamente riempire di botte l’avversario fino a smembrare, uno alla volta, tutti i suoi arti. Anche qui non vi è né tempo limite né barra della vita, riempita la barra GUTS si deve tentare di colpire l’avversario in modo da privarlo di un arto.
Sviluppato da Libredia Entertainment e Flux Game Studio, già rilasciato su PC e prossimamente anche su Playstation 4 e Xbox One, il gioco presenta una società iper-consumista in cui il pubblico gode soltanto nel vedere spettacoli ultraviolenti, tra cui proprio il GUTS.
Il roster include nove psicopatici, tra i quali è presente la rinomata campionessa la quale, per il cinquantesimo anniversario dello show, decide di tornare a combattere. La varietà è purtroppo minata dalle sole quattro arene interattive, nelle quali sono inserite trappole per eliminare velocemente il nemico e bonus per recuperare arti perduti. Il tutto rigorosamente tinto di rosso.

Antonio Loparco
Videogiocatore sin da piccolo, ho iniziato ad addentrarmi nel mondo videoludico con Amiga600. Pian piano ho provato varie piattaforme fino all'acquisto della prima PlayStation che è rimasta da sempre la mia console preferita.

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