Need for Speed Payback è la seconda chance di Ghost Games per far nuovamente innamorare i fan del “videogioco di Fast and Furious”, questa volta con un tono diverso da quello giovanile degli street racer, facendoci piuttosto impersonare delle versioni alternative di Dominic Toretto e Letty Ortiz sempre a caccia di guai, supercar e denaro.
C’era una volta… un reboot di Need for Speed
Tanto tempo fa, in un regno fatto di videogiochi, raccontai di Need for Speed, il reboot del 2015, come una grande attesa fatta di aspettative trasformate in delusione. Chiariamoci, dopo svariati capitoli anonimi e “Burnout style”, il Need for Speed di Ghost Games era una manna dal cielo. La speranza per i fan della serie di rivivere, finalmente, vecchie emozioni da far palpitare il cuore a mille a chiunque abbia passato l’infanzia a modificare la propria Nissan Skyline GT-R come un provetto Brian O’Conner, AKA Paul Walker, in Fast and Furious.
I pezzi del puzzle erano tutti al loro posto: l’adrenalina delle gare illecite sfrecciando in mezzo al traffico scappando poi dalla polizia alle nostre calcagna, l’emozione di vivere nei panni di uno street racer anche grazie ai filmati con attori reali ma, soprattutto, il ritorno del tuning come la serie ci aveva abituato.
Il reboot di Need for Speed ha deluso proprio dove non doveva, in quella componente tanto a cuore ai fan affezionati. Anche se è vero che la personalizzazione estetica è tornata sulla vecchia strada con alettoni, minigonne e bodykit con cui cambiare l’aspetto della nostra macchina, ci siamo un po’ tutti sentiti mancare quando abbiamo visto quel famigerato lucchetto. Segno che non ci era concesso modificare quella parte dell’auto.
Spesi i crediti per fare nostra la Ford Focus, frementi dalla voglia di renderla realmente nostra, unica, scoprivamo poi come la quasi totalità dei pezzi non potevano essere sostituiti, lasciando così l’auto praticamente di serie.
Con Need for Speed Payback riviviamo un déjà vu, torniamo indietro al momento in cui ci viene detto e mostrato che il tuning è tornato con più possibilità di personalizzazione che mai. Peccato che sappia di già sentito, ora è più difficile berla e ci andiamo cauti, giusto per evitare un’altra delusione.
Il tuning di Need for Speed Payback
Analizzando i trailer rilasciati e i gameplay dedicati proprio a questo aspetto, stando attenti ad eventuali infarti, scopriamo le possibilità date dal tuning in Need for Speed Payback.
Prima di tutto, va specificato che i componenti sono “personali”, ciò significa che ogni auto ha i suoi pezzi dedicati a quell’esatto modello – che siano del produttore o aftermarket di terze parti – e se questi non esistono o non possono fisicamente essere montati, semplicemente mancano nel gioco -.
Per esempio, con la BMW M4 GTS ci viene data la possibilità di cambiare la mascherina che campeggia sotto il logo della casa tedesca, al contrario, per le auto che non ne hanno una, ciò viene escluso.
Il problema dei componenti pensati esclusivamente per un determinato modello è prima di tutto la povertà in termine numerico e, in secondo luogo, che la quantità di personalizzazioni disponibili varia di auto in auto. Ossia, ogni quattroruote può avere più o meno cofani, più o meno spoiler, più o meno paraurti e via dicendo. Parlando di quest’ultimi, facendo un esempio concreto, se per la Nissan 350Z possiamo scegliere tra tre soluzioni differenti, la BMW M4 GTS dispone di due sole varianti.
Un numero, a prescindere, risicato, che lascia poca scelta al giocatore per rendere unica la sua vettura, ma che soprattutto, viste queste premesse, rischia di rendere quel senso di dèjà vu ancora più reale, con la concreta possibilità che alcune auto non abbiano proprio alcun pezzo da poter montare.
Tornano poi le limitazioni dovute ad alcuni requisiti necessari per poter installare determinati componenti. Ci innamoriamo di un paraurti di The Alchemist, lo selezioniamo ed ecco che ci viene detto che con l’attuale chassis “non s’ha da fare”, infrangendo i nostri sogni per l’auto dei desideri e riducendo ulteriormente le possibilità di scelta.
I Catorci
The Crew, Forza Horizon, Test Drive Unlimited: i giochi in cui girando per l’ambientazione si potevano trovare auto catapecchie sono già molti.
Questa possibilità arriva anche in Need for Speed Payback con quelli che vengono chiamati Catorci. Lo sono letteralmente, auto storiche abbandonate al loro destino, smontate delle loro parti vitali e lasciate ad arrugginire sotto la pioggia.
Il sistema sembra uno step successivo di quello visto nei titoli di guida elencati sopra: una volta trovato il telaio avremo il “progetto” della vettura e a questo punto spetta a noi il compito di trovare ruote, trasmissione ed altri due pezzi particolari in base al Catorcio da restaurare. Per aiutarci nelle ricerche, ci verrà suggerita la posizione da raggiungere.
Una volta fatto avremo a disposizione l’auto di serie, pronta per il passo successivo che le permetterà di diventare una super car.
Dovremo inoltre decidere a che classe farla appartenere; in Payback vengono introdotte le “Super Build”, delle conversioni estetiche drastiche che permettono alle auto di cambiare la loro classe tra gara, off-road, drift, drag e runner. L’unica differenza è che, rispetto alle altre quattroruote, per i Catorci la scelta è definitiva, una volta selezionata non si torna indietro.
Need for Speed Payback sembra avere una grave crisi d’identità. Rapinare camion in puro stile Dominic Toretto, scegliere le classi delle auto come in The Crew e collezionare i Catorci proprio come si è fatto in fin troppi titoli di guida. Inoltre, il consiglio è di andarci piano con le aspettative sul tuning, le limitazioni del precedente NFS non sono poi così lontane.