Dopo una snervante attesa lunga quattro anni, l’ultima opera del maestro Mikami è finalmente nelle nostre mani, pronta per essere recensita. Ecco a voi la nostra opinione su The Evil Within, nella relativa controparte per PlayStation 4.
Realtà o immaginazione?
Sebastian Castellanos è un investigatore impegnato in un’indagine per un omicidio di massa presso l’ospedale psichiatrico Beacon. Durante questa “normale” investigazione, il protagonista si trova contro una misteriosa ed inspiegabile forza e, dopo essere stato steso da un non ben definito umano, si risveglia in un mondo differente da quello che conosceva. Fino (quasi) alla fine dell’avventura non saremo mai certi riguardo a quello che sta succedendo, lasciandoci sempre con una domanda in testa: tutto ciò è vero o soltanto il frutto dell’immaginazione del protagonista?
La trama, assieme all’atmosfera del titolo, come vedremo poi, sono i due aspetti che funzionano meglio nel titolo sviluppato da Tango Gameworks, grazie a questi dubbi che attanagliano giocatore e protagonista ed al design malato delle ambientazioni e dei nemici. La durata dell’avventura dipende da molti aspetti, soprattutto dall’approccio intrapreso e dalla difficoltà scelta, oscillando tranquillamente tra le 10 e le 20 ore in base a queste variabili.
Un mix perfetto?
Prendete Resident Evil 4, Silent Hill ed Outlast e mescolateli, ma non fatelo troppo bene. The Evil Within vuole essere infatti un omaggio di Mikami a tutti i vecchi fan dei survival horror e il miscuglio di questi videogame potrebbe essere potenzialmente una bomba, peccato che il gioco non riesca ad imporsi in nessuno degli aspetti ispiratisi ai titoli citati prima.
Dopo il prologo nell’ospedale, veniamo subito messi di fronte ad una delle tante situazioni simili a quelle viste in Outlast o Amnesia, per citarne un paio. Siamo infatti disarmati ed inermi contro un nemico molto più grosso di noi, con l’obiettivo di non farci scoprire per scappare quanto prima. Per farlo, è necessario rimanere fuori dal suo campo visivo, nascondendoci al bisogno negli armadietti o sotto tavoli e letti. Già in questa fase stealth iniziale abbiamo potuto saggiare la scarsa qualità della IA dei nemici. Siamo infatti riusciti tranquillamente a piazzarci tranquillamente dietro (e contro) al nemico di turno e a rubare le chiavi poste davanti a lui, con il braccio del protagonista ad oltrepassarne il modello poligonale. In opposizione a tutto ciò, lo stesso nemico è riuscito a vederci mentre eravamo immobili e nascosti nell’ombra più totale. Questo purtroppo è solo l’inizio in quanto speravamo di sbagliarci, ma dobbiamo ammettere che si tratta di un aspetto negativo che si ripete costantemente.
Altra parte importante del titolo è quella più incentrata sull’uso delle armi, in pieno stile Resident Evil 4, con in più la possibilità di muoversi sparando. Peccato però che, nonostante non ci si potesse muovere, in Resident Evil 4 il tutto era studiato proprio attorno a questa staticità di fondo, mentre in The Evil Within qualcosa sembra non funzionare come dovrebbe, a partire dalla visuale ancora più ravvicinata e ristretta. Come nelle sezioni stealth, anche in queste sezioni l’IA è parecchio altalenante, con situazioni in cui i nemici ci inseguono sfruttando scale e rampe, aggirandoci, ed altre che risultano essere ben più ridicole. Abbiamo provato infatti a posizionarci dietro un nemico, raggiungendolo con nonchalance, accendendo e spegnendo di continuo la lanterna in nostro possesso e bruciando pure un covone di fieno posto a pochi metri da lui, senza che lo stesso avversario si insospettisse. Per non parlare di un nemico che, una volta allarmato, ha iniziato a correre verso di noi, facendosi fermare da una staccionata che gli arrivava alle ginocchia e lunga un paio di metri, meno dell’altezza delle finestre che avrebbe superato agilmente o altri ostacoli che avrebbe invece aggirato senza alcun problema. E questi sono solo un paio di esempi, di situazioni simili ne abbiamo viste parecchie, e passare oltre a queste carenze nascondendoci dietro al fatto che non si tratta di umani ma di creature varie non giustifica assolutamente questi gravi problemi.
In contrapposizione a ciò, la difficoltà sembra spesso alzata in modo macchinoso, come se il gioco barasse. I nemici, ad esempio, se ne fregano altamente delle trappole presenti nelle ambientazioni, che non scattano al loro passaggio, ma sono in grado di uccidere il protagonista in un attimo. Abbiamo apprezzato la possibilità di bruciare i nemici stesi una volta storditi, cosa utile vista la scarsa quantità di munizioni presenti, uno dei pochi aspetti che rendono survival il titolo recensito.
Le uniche parti che sembrano funzionare meglio sono quelle ispirate a Silent Hill, un po’ più d’atmosfera rispetto a tutto il resto, anche se mai in grado di spaventare realmente il giocatore, ma nemmeno di mettere addosso quella tensione tanto cara agli amanti del genere.
L’atmosfera c’è tutta… e la grafica?
La prima cosa che notiamo giocando a The Evil Within è l’adozione del formato cinematografico 21:9 invece che i classici 16:9, scelta che si traduce in due fastidiose bande nere orizzontali a contenere le immagini di gioco. Come se non bastasse la visuale di cui parlavamo sopra, anche queste bande limitano pesantemente il campo visivo in modo artificioso. Non sapremo mai se questa scelta è stata fatta per ovviare alle problematiche nel renderizzare correttamente i 1080p a schermo intero o solo per dare un taglio cinematografico al tutto, ma a noi questa cosa non è piaciuta affatto.
Artisticamente parlando, il lavoro svolto da Mikami e soci è di ottima fattura, grazie al design malato di ambientazioni e personaggi ed un sapiente uso di rifrazioni ed effetti di luce. Non possiamo dire lo stesso riguardo alla complessità poligonale del tutto, lasciando intravedere la natura cross-gen del titolo, con tutti i limiti del caso. Per carità, l’ID Tech 5 ha ancora molto da dire, ma siamo bel lontani dall’ottimo lavoro fatto su Wolfenstein: The New Order, giusto per rimanere in casa Bethesda.
Non abbiamo nulla da segnalare sulla parte audio, infatti sia le musiche che gli effetti sonori sono di buona fattura, compreso il doppiaggio in italiano, sicuramente superiore alla media in ambito videoludico.
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