Devolver Digital è un’azienda decisamente esuberante. Dalla comunicazione ai suoi eventi, il publisher devoto al mercato indipendente ed AA negli ultimi anni ci ha colpiti con un linguaggio completamente estraneo alle formalità. Accade inoltre che questa presentazione si rifletti persino sulle produzioni che mese dopo mese vengono sfornate dalle fucine del noto publisher, titoli spesso e volentieri fuori dagli schemi ludici e narrativi, o semplicemente videogiochi che invece vogliono semplicemente divertire. Oppure ci sono videogiochi come Shadow Warrior 3.
Quella di Shadow Warrior è una serie a dir poco frenetica, tanto da riprendere a piene mani il gameplay moderno di DOOM ed affidandoci perlopiù un’affilatissima Katana tra le mani. Facendoci strada tra demoni in territori asiatici, quella di Flying Wild Hogs è un’epopea action non molto fortunata, sebbene non siano mai mancate quelle caratteristiche ludiche capaci di attirare persino i giocatori più casual. Con Shadow Warrior 3, disponibile su console e PC (e soprattutto per tutti gli abbonati al PlayStation Now), il team di sviluppo sotto l’ala di Devolver Digital ha confezionato un’esperienza tutto sommato soddisfacente, con una trama che rasenta il demenziale. Dopo averlo concluso, e completato persino al cento per cento, siamo finalmente pronti per parlarvene in questa recensione.
Shadow Warrior 3, pazzo di un Lo Wang
Il nostro caro Lo Wang è stato preso a calci nei fondelli da un drago divino, e questo fattaccio lo ha moralmente sconfitto. Sebbene si fosse impegnato così tanto per abbatterlo, al drago è bastato letteralmente un soffio per scaraventarlo lontano e il ragazzone, seppur abile con la katana e con le pistole, non ha potuto nulla contro la maestosa creatura. Parte così Shadow Warrior 3, dalla sconfitta umiliante di un protagonista decisamente sopra le righe. Il racconto ci narra una storia decisamente leggera e demenziale, coinvolgendo soprattutto il sottoscritto con scene che rasentano il ridicolo della comicità. In quello che sembra un viaggio che insegue la vendetta, in realtà si cela una storia che non pone chissà quali premesse e pretese, diventando assolutamente perfetta per chi semplicemente desidera staccare la spina.
La leggerezza della trama la si percepisce soprattutto nei dialoghi: Lo Wang è un protagonista dal carattere scherzoso e per nulla serio, e ciò lo si avverte persino durante gli scontri a fuoco in cui si diletta in esibizioni canore mentre combatte. Il viaggio che lo porterà a visitare i territori ispirati alla Cina medievale è un miscuglio tra battute no-sense ed attimi utili a raccontare ciò che sta accadendo, il tutto accompagnato dalle immancabili cutscene che veicolano la narrazione. Tuttavia, la storia è l’aspetto meno curato (ed importante) di questo terzo capitolo della serie reboot, che si ridimensiona nella struttura per offrire un’esperienza completamente focalizzata sul gameplay.
Another one bites the Dust YE!
La storia in quel di Shadow Warrior 3 è un qualcosa di talmente marginale che possiamo a momenti paragonarla a quella della serie DOOM. E non solo, ma anche il gameplay (per chi non avesse mai giocato un capitolo di Shadow Warrior) riprende a piene mani la filosofia del leggendario sparatutto di Id Software. Tuttavia, rispetto ai suoi predecessori reboot, Shadow Warrior 3 è un capitolo completamente ridimensionato: ne viene sacrificata la struttura sandbox ed una maggiore complessità della trama, tra cui l’assenza delle side quest. Anche la cooperativa a quattro giocatori lascia spazio ad un’esperienza devota al single-player, il tutto per regalarci uno sparatutto in soggettiva con elementi platform ed un gameplay maggiormente frenetico. Perché in Shadow Warrior 3 gli scontri a fuoco vengono relegati nelle varie arene che raggiungeremo durante la storia, correndo dappertutto per affrontare le orde di demoni che bramano la nostra vita.
Difatti, quella di Lo Wang è un’avventura più lineare, che alterna i vari combattimenti con delle sequenze platform alquanto avvincenti, le quali però non offrono chissà quale dinamismo lungo il percorso. In particolar modo ci troviamo davanti ad un platform che non offre soluzioni alternative per arrivare da un punto “A” ad un punto “B”. Tuttavia, ne possiamo apprezzare le diversità nel suo level design, tra cui wallrun, super salti e dondolamenti con il rampino. E se la raccolta di potenziamenti è l’unica dinamica che spinge ad esplorare un minimo ciascun livello del gioco, dall’altra parte l’essenzialità del level design promuove una scorrevolezza narrativa per nulla pesante.
Come detto poc’anzi, quello di Shadow Warrior 3 è un gameplay frenetico in cui il continuo movimento è la nostra unica ancora di salvezza. Spara, affetta, salta, il gunplay riprende la medesima combinazione tra shooter e platform perfezionata da DOOM Eternal, rinchiudendo il giocatore all’interno di alcune arene piccole su cui si concentrerà maggiormente l’azione. Oogni scontro è intenso e duraturo, con demoni di varie tipologie che necessitano spesso e volentieri di approcci diversi. Una varietà di creature decisamente più ampia rispetto al passato della serie, a cui va aggiunta un’armeria decisamente generosa, ma nulla di tutto ciò restituisce la medesima soddisfazione recata dal taglio di arti compiuto con la Katana.
Le arene sono inoltre costellate di elementi utili a semplificarci gli scontri: l’interazione con l’ambiente, mediante l’utilizzo di trappole o barili esplosivi, rende alcuni degli scontri più stressanti qualcosa di più digeribile, merito soprattutto dell’ingegno che il giocatore saprà applicare sfruttando questi vantaggi. Ancor più soddisfacenti sono invece le finisher: esse non sono mai uguali e, eseguendole sui nemici d’élite, ricaveremo delle armi speciali atte a disintegrare qualsiasi creatura demoniaca che respiri ancora. Tali esecuzioni inoltre sono un buon escamotage per finire il nemico in un colpo solo ed ottenere vita e munizioni extra, a patto che prima di utilizzarle abbiamo almeno un segmento della carica gialla a disposizione. Ancor più interessante è il sistema dei potenziamenti che non solo rendono i nostri strumenti di morte più potenti, ma sbloccano di tanto in tanto delle abilità extra (come i proiettili incendiari per la nostra pistola), approfondendo seppur di poco un gameplay molto essenziale. Il mix action-platform dunque delineano un’esperienza fatta di ritmi altalenanti: sebbene le sequenze al di fuori delle arene ci forniscano una certa spettacolarità per quanto concerne gli scenari, dall’altra parte saltare, correre sui muri ed arrampicarsi non ci offre chissà quale soddisfazione ludica, che invece ritroviamo nel più sanguinolento gunplay.
Fluidità ovunque!
Shadow Warrior 3 non è un prodotto che primeggia per la sua narrazione, ed il gameplay è una componente preponderante nella nuova creatura di Flying Wild Hogs. Come ogni buon shooter in soggettiva che si rispetti, la fluidità delle prestazioni tecniche è un elemento imprescindibile affinché si possa vivere un’esperienza ludica decisamente frenetica, ed è ciò che non manca all’avventura di Lo Wang. La versione PlayStation 4 (giocata in retrocompatibilità su PlayStation 5) presenta un comparto grafico dignitoso conservando in maniera granitica i suoi sessanta fotogrammi al secondo, stupendo perlopiù con la direzione artistica che caratterizza ciascuna delle ambientazioni che visiteremo. Essendo ambientato in Cina, vi è grande ispirazione ai miti della sua cultura, soprattutto nella morfologia di ciascun livello e nelle varie architetture in cui ci imbatteremo. Tuttavia, per raggiungere una tale fluidità è stato necessario sacrificare la cura per i dettagli sia dei modelli che delle texture, ottenendo così un risultato non proprio all’avanguardia. Il gioco infine è sprovvisto di una localizzazione italiana sia dei dialoghi che dei menù.